Il distratto

Era distratto. Non sbadato, che è un’altra cosa. Anzi, era molto preciso. Non lasciava niente in giro, non mancava mai a un appuntamento. I suoi polsini erano sempre puliti. Aveva metodo anche nella distrazione: non era mai distratto a caso, ma sempre secondo un piano prestabilito. Era una distrazione incrementale.
Distratto significa tratto via – via da sé stesso, verso destinazione ignota. Da qualche tempo la sua vita era passata dalla prima alla terza persona. Le cose avevano smesso di accadergli: ora semplicemente gli si raccontavano. Anche l’inizio del nuovo lavoro e la gita sui Pirenei non lo avevano colpito più di tanto. Si sforzava di provare l’entusiasmo di un tempo, ma il meglio che otteneva era una simulazione di entusiasmo, rinunciabile, scipita.
Per usare una metafora ferroviaria, gradita ai pendolari, era come se avesse buttato il fagotto della sua vita sulla reticella sopra la sua testa e avesse smesso di preoccuparsene. Il viaggio intanto continuava. Le ruote scivolavano sempre più velocemente sui binari. Presto non avrebbe più saputo dire se quel fagotto era davvero la sua vita o era la vita di un altro, uno tizio qualsiasi che gli aveva chiesto di darci un’occhiata mentre andava al gabinetto.
Altre volte, si scopriva ad osservare le sue stesse peripezie come sullo schermo di un computer. Era un film piuttosto noioso, ma questo non gli impediva di soffrire e di intenerirsi per quel piccolo personaggio. La banalità di quest’immagine può dare un’idea di quanto ormai fosse distratto. E lo sapeva benissimo: l’unica forma di partecipazione emotiva che ancora nutrisse era per la sua stessa distrazione. Ci rifletteva a lungo. Quando sarò tratto del tutto al di là dello schermo, si diceva, avrò di nuovo un io. Non più l’io del personaggio, ma quello dello spettatore. Non male, dopo tutto. Forse era addirittura il caso di sforzarsi per completare il processo al più presto.
Se fosse stato più saggio, si sarebbe accorto che questo staccarsi da sé era un’uscita di emergenza provvidenziale dallo scorrere del tempo. Avrebbe capito che la distrazione era soltanto un aspetto della serenità. Ma non lo capiva. Dopo tutto, era distratto.

Sogno sereno

Dopo aver controllato per la quattordicesima volta che la porta d’ingresso fosse chiusa a doppia mandata, che il gas e il termostato fossero spenti, che la porta del bagno fosse accostata e la sveglia puntata per le sette meno un quarto, l’ossessivo-compulsivo si infilò sotto le coperte e si addormentò. Quella notte sognò di camminare libero attraverso la piazza: per una volta, era il disegno del selciato ad assecondare i suoi movimenti e non viceversa. Le mattonelle più chiare lo seguivano docilmente dovunque decidesse di andare, e le fessure sfuggivano spontaneamente sotto i suoi piedi, permettendogli una camminata sciolta ed elastica. Dopo molti anni, rivide la città da angolazioni non patologiche e si chiese se sarebbe mai stato in grado di estinguere un tale debito di serenità.