Su Israele, Palestina e gli attacchi di Hamas

Pubblico con il permesso dell’autore la traduzione di un tweet (X’eet?) di Isaac Saul, giornalista politico americano, uscito il 10 ottobre come newsletter su Tangle (di cui Saul è fondatore). Vale la pena di leggerlo fino in fondo.


La gente mi chiede continuamente se sono “pro-Israele”, visto che sono ebreo e ho vissuto in Israele, e la mia risposta è che a definirsi “pro-Israele” o “pro-Palestina” o “sionista” si perdono le sfumature di opinione che molta gente ha o dovrebbe avere sulla questione. O almeno le mie sfumature.

Ho molto da dire. Ho passato le ultime 72 due ore a scrivere, messaggiare e parlare con israeliani, ebrei, musulmani e palestinesi. Molte delle mie reazioni faranno incazzare la gente su “entrambi i fronti”, ma sono esausto e sto male e non penso che ci sia un modo di discutere la situazione senza essere radicalmente onesto sulle mie opinioni. Quindi farò del mio meglio per dire quel che ritengo giusto.

Cominciamo da qui: potevo essere io.

È un pensiero duro da scacciare guardando i video da Israele – la gente al concerto che scappa in campo aperto, gli ostaggi portati in giro per le strade, la gente freddata con un colpo in testa alle fermate degli autobus o nella loro macchina. Sono andato anch’io alle feste nel deserto, spalla a spalla con israeliani e arabi e ebrei e musulmani; avrei accettato senza problemi un invito a un concerto vicino a Sderot e ci sarei andato senza pensarci, solo per essere ammazzato indiscriminatamente. O peggio, preso in ostaggio e torturato.

Non credo che Hamas stia uccidendo gli israeliani per ottenere la libertà o per portare la pace. Lo fa perché rappresenta la voce malvagia sulla spalla di ogni palestinese oppresso che ha perso qualcuno in questo conflitto. Lo fa perché vuole vendetta. Sta pareggiando i conti, sfruttando il peggiore degli impulsi umani, quello di rispondere al sangue col sangue – un’inclinazione a cui è facile cedere dopo ciò che il popolo palestinese ha dovuto patire. Non è difficile capire la logica di Hamas – il difficile è accettare che gli esseri umani possano essere spinti a tanto. Non difendere Hamas è davvero il minimo sindacale. Cercate di farcela.

In una newsletter non è possibile riassumere l’intera storia dei popoli che da 5000 anni si fanno la guerra per questa striscia di terra. Ci si può informare in un sacco di posti facilmente accessibili, se si vuole (e, tra parentesi, si dovrebbe – troppa gente che apre la bocca su questo tema dimostra livelli osceni di ignoranza, e lo fa con grande arroganza e una lente storica ristretta agli ultimi decenni). Sottolineerò soltanto un paio di cose che sono importanti per me.

Secondo me, la rivendicazione del popolo ebraico sulla terra di Israele è storicamente legittima. Gli ebrei sono stati scacciati, riportati e poi scacciati di nuovo da questa terra una mezza dozzina di volte prima che fosse governata da musulmani e arabi sotto l’Impero Ottomano. Ovviamente la questione è confusa, perché noi ebrei, arabi e musulmani siamo tutti cugini e discendenti degli stessi cananei. Ma gli arabi si sono appropriati la terra secoli fa nello stesso modo in cui Israele e gli ebrei se la sono appropriata nel XX secolo: con la guerra e il conflitto. Gli inglesi hanno sconfitto l’Impero Ottomano; poi c’è stata la Dichiarazione Balfour, con cui in sostanza gli inglesi concedevano l’area al popolo ebraico, una promessa che hanno poi tentato di rimangiarsi – tutto questo prima delle guerre che hanno definito la regione a partire dal 1948.

La fine degli anni ’40 era un momento storico unico. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando già esistevano molti stati arabi e musulmani, e dopo che sei milioni di ebrei erano stati sterminati, la comunità globale ritenne importante garantire una patria al popolo ebraico. In un mondo più logico e giusto la patria avrebbe dovuto essere in Europa, come forma di riparazione per quel che gli ebrei avevano subito dai nazisti e da altri prima di loro, o magari in America – ad esempio in Alaska –, o da qualche altra parte. Ma gli ebrei volevano Israele; gli inglesi avevano sposato la causa del movimento Sionista; gli stessi inglesi avevano conquistato l’Impero Ottomano, il che gli dava il controllo sulla terra; l’America e l’Europa non volevano prendersi gli ebrei. Risultato: nacque Israele.

Gli stati arabi si erano già opposti ripetutamente a una ripartizione di Israele prima della guerra e si opposero di nuovo dopo l’Olocausto e la fine della guerra. Non volevano cedere neanche un pezzettino della loro terra a un branco di occupanti ebrei che l’avevano ottenuta all’improvviso da altri occupanti inglesi arrivati un secolo prima. Chi può biasimarli? Erano passati secoli da quando gli ebrei avevano vissuto in massa da quelle parti, e adesso volevano tornare a ondate sotto forma di europei secolarizzati. Molti di noi avrebbero probabilmente reagito allo stesso modo. Perciò combatterono, come gli esseri umani fanno da sempre. Molti stati arabi si volsero contro il nascente stato ebraico. Una parte vinse e l’altra perse. Questo è il mondo brutale e corrotto e violento in cui viviamo, ma è questo che ha creato l’ordine mondiale che abbiamo oggi.

La storia del XX secolo vede israeliani e inglesi nel ruolo di “colonizzatori”? Certo che sì. Ma questa visione annulla migliaia di anni di storia e conflitto, e in particolare il contesto della Prima e Seconda Guerra Mondiale. Io non considero gli israeliani e gli inglesi più colonizzatori degli assiri o dei babilonesi o dei romani o dei mongoli o degli egiziani o degli ottomani che a turno combatterono per questa stessa striscia di terra dall’800 a.C. fino a oggi. Gli ebrei che hanno fondato Israele hanno semplicemente vinto l’ultima grande battaglia per ottenerla.

Non si possono discutere i problemi nel vuoto. Non si può fingere che solo 60 anni fa Israele non fosse circondato da tutti i lati da stati arabi che volevano cancellarlo dalla faccia della terra. Nonostante l’equilibrio di potere nel XXI secolo si sia spostato, la minaccia è ancora reale. E non si può parlarne senza ricordare il motivo iniziale per cui gli ebrei si trovavano in Israele: il fatto che avessero passato i secoli precedenti a difendersi da un’orda di europei che volevano anch’essi cancellarli dalla faccia della terra. Finché non è arrivato Hitler.

Gli americani più di parte hanno una visione ristretta di questa storia, e la interpretano in un’ottica fastidiosamente americano-centrica. Lee Fang l’ha detto benissimo: “Se i nostri sinistrorsi ACAB che acclamano le violenze orribili contro gli israeliani vivessero a Gaza, Hamas li fucilerebbe all’istante. E i destrorsi che festeggiano l’oppressione israeliana dei palestinesi si ribellerebbero con il doppio della violenza, se fossero gli americani ad essere occupati allo stesso modo”.

Eppure molti americani vedono il moderno Israele come la parte “forte” di questa dinamica. Il che è vero – ovviamente lo è. Lo scontro non è equo e non lo è da decenni, perché il governo israeliano e ricco e pieno di risorse, ha il supporto degli USA e di buona parte dell’Europa e ha un esercito incredibilmente potente. Allo stesso tempo, la leadership israeliana ha portato avanzamenti tecnologici e militari che hanno ulteriormente fatto pendere la bilancia dal loro lato – mentre intanto il governo israeliano si impegnava a creare un carcere a cielo aperto e privo di risorse per i due milioni di arabi a Gaza.

Di contro, i palestinesi non hanno nessuna vera leadership unitaria, e il mondo arabo è al momento diviso sulla questione palestinese. Israele non vuole concedere alla gente di Gaza e della Cisgiordania neanche un centimetro di libertà per vivere. Queste persone sono in buona parte rifugiati e discendenti di rifugiati delle guerre vinte da Israele nel 1948 e nel 1967. Non si possono tenere due milioni di persone in condizioni come quelle in cui vive la gente di Gaza e non aspettarsi che succedano eventi simili.

Mi dispiace dirlo quando c’è ancora sangue fresco per terra. Gli israeliani uccisi in questo attacco non hanno in generale niente a che vedere con le condizioni della gente di Gaza, al di là del fatto di essere nati in un’epoca in cui Israele e gli ebrei si trovano in vantaggio nel conflitto. Alcune vittime non erano neanche israeliane – erano semplici turisti. Questo è il motivo per cui le descriviamo come “innocenti” e per cui Hamas con questo attacco ha semplicemente confermato di essere una spietata organizzazione terroristica – un’organizzazione che io spero venga presto rovesciata, per il bene sia dei palestinesi che degli israeliani. Ma visto che amo profondamente Israele, e ho amici in pericolo e conoscenti ancora dispersi, mi spezza il cuore dirlo ma lo devo ripeter perché rimane forse l’elemento più saliente in un’intricatissima matassa plurisecolare di contesto: 

Non si possono tenere due milioni di persone a vivere nelle condizioni della gente di Gaza e aspettarsi la pace.

Non si può. E non si deve. Il loro ambiente è in antitesi alla dignità umana. Una rivolta violenta è garantita. Garantita. Come il fatto che domani sorga il sole.

E il ciclo di violenza sembra destinato a perpetuarsi, perché entrambe le parti hanno un conto in sospeso:

1) Israele ha già risposto con la vendetta, e continuerà a farlo. Il suo desiderio di violenza non è diverso da quello di Hamas – è sempre sangue per sangue come ogni misura di legittima sicurezza. Israele “ha tutto il diritto di rispondere con la forza.” L’obiettivo ora è rovesciare Hamas – un gruppo, peraltro, che Israele in passato ha sbagliato a supportare –, e le morti civili saranno viste come un danno collaterale necessario. Ma Israele farà anche un sacco di cose che non ha il diritto di fare. Raderà al suolo condomini e ucciderà civili e bambini, con il plauso di una larga parte della comunità internazionale. Ha già interrotto il flusso di acqua, elettricità e cibo a due milioni di persone, e ucciso dozzine di civili nei contro-bombardamenti. È una cosa che non dovremmo accettare in nessun caso. Non dovremmo mai perdere di vista che quest’orrore è inflitto ad altri esseri umani. Come disse il gruppo B’Tselem, “Non c’è giustificazione per questi crimini, che siano commessi come parte di una battaglia per liberarsi dall’oppressione o come parte di una guerra contro il terrore.” Io piango gli innocenti della Palestina esattamente come piango gli innocenti in Israele. Finora molte, molte più persone sono morte fra i palestinesi che fra gli israeliani. E molti altri palestinesi probabilmente moriranno in questo rigurgito di violenza.

Purtroppo molta gente in Occidente si interessa a questa storia solo quando Hamas, o un palestinese a Gaza o in Cisgiordania, commette un atto di violenza. Cittadini palestinesi muoiono regolarmente per mano dell’esercito israeliano, e la loro sofferenza è in larga parte ignorata finché non rispondono a loro volta con la violenza. Solo quest’anno, Israele ha già ucciso circa 250 palestinesi, fra cui 47 bambini, e solo in Cisgiordania.

2) Ogni volta che Israele uccide qualcuno in nome dell’autodifesa, dà vita a un nuovo gruppo di estremisti radicali che si sentiranno giustificati a togliere in cambio una vita israeliana, prima o poi. Su due milioni di abitanti a Gaza, la metà ha meno di 19 anni – ragazzini che conoscono ben poco altro oltre il dominio di Hamas (dal 2006), l’occupazione israeliana, gli embarghi e i razzi che cadono dal cielo. Non ho modo di comprendere la sofferenza di questi ragazzi innocenti nati in questa realtà, che adesso soffriranno ancora di più a causa delle azioni di Hamas e della risposta di Israele, senza averne alcuna colpa.

Non c’è modo di uscire da questo schema finché una delle parti non decide di fermarsi o finché i leader di entrambe le parti non trovano una nuova soluzione. Secondo gli israeliani, se i palestinesi gettano le armi la guerra finisce, mentre se loro gettano le armi Israele verrà cancellato dal pianeta. Non ho una sfera di cristallo e non so dirvi che cosa è vero. Ma di una cosa sono certo: ogni volta che Israele uccide un innocente, genera nuova rabbia e nuovo odio e spinge nuovi palestinesi e arabi alla causa contro la propria esistenza. È un dato indiscutibile.

E allora, perché è successo adesso?

Non ho una risposta certa, oltre al fatto che prima o poi doveva succedere. È stato un fallimento disastroso da parte della sorveglianza e dei servizi segreti, e Netanyahu dovrà pagarne il prezzo politico – la sua leadership è finita. L’Iran ha probabilmente aiutato nell’attacco, e anche il denaro messo a disposizione dallo scambio di prigionieri dell’amministrazione Biden non ha migliorato le cose. Di certo non hanno aiutato la deriva estremista del governo di Israele e le provocazioni dei coloni verso i palestinesi. E la spedizione che ha profanato la moschea di Al-Aqsa. E l’embargo e i bombardamenti e l’oppressione indiscriminata di un intero popolo. E il rifiuto di dialogare con i leader palestinesi non terroristi. E il continuare ad espandersi illegalmente rubando quel che rimane dei territori palestinesi, come hanno fatto molti ebrei e israeliani nel XXI secolo nonostante la comunità globale scongiurasse loro di fermarsi. Una risposta violenta era prevedibile – molti l’avevano in effetti prevista.

Israele sta schiacciando questa gente in gabbie sempre più piccole, con sempre meno risorse. Ma se si vogliono criticare i leader israeliani perché continuano ad espandersi e a colonizzare territorio che non gli appartiene (come sto facendo), bisogna riservare qualche critica (come pure sto facendo) anche ai leader palestinesi che a più riprese nel XX secolo non hanno accettato una suddivisione di Israele che avrebbe potuto portare alla pace.

Tenete a mente anche questo: Hamas è comunque un gruppo estremista. I palestinesi non hanno un governo o dei leader che rappresentino legittimamente i loro interessi; di certo non Hamas, nel modo più assoluto. Ci saranno palestinesi che festeggeranno e applaudiranno i morti o ci sputeranno sopra mentre verranno portati in giro per Gaza? Certo che sì. L’hanno già fatto. Altri piangeranno invece, perché detestano Hamas e sanno che tutto questo non può che peggiorare le cose. Succede lo stesso con gli israeliani, che si siedono sulla sdraio a guardare il loro governo bombardare la Palestina e festeggiano a loro volta. Non vuol dire che i palestinesi o gli israeliani o gli americani siano malvagi – vuol dire che alcuni di loro cedono ai loro impulsi violenti e al sentimento fanatico della vendetta doverosa.

Soluzioni? Non posso dire di averne. Se è questo che cercavate, mi dispiace. La soluzione dei due stati a me sembra morta. Una soluzione a tre stati ha qualche senso, ma sembra fuori dalle prospettive di quelli che contano e che potrebbero realizzarla. Vorrei tanto che la soluzione a un solo stato fosse realistica – un mondo di israeliani e arabi, musulmani ed ebrei che vivono assieme con gli stessi diritti, pienamente integrati e depurati dall’odio: è una versione di Israele che desiderei con tutto il cuore. Ma sembra sempre meno realistica ad ogni nuovo atto di violenza.

Sono pro-Israele o pro-Palestina? Non ne ho idea.

Sono pro-non-uccidere-i-civili.

Sono pro-non-intrappolare-milioni-di-persone-in-prigioni-a-cielo-aperto.

Sono pro-non-mitragliare-le-nonne-alla-nuca.

Sono pro-non-radere-al-suolo-condomini.

Sono pro-non-stuprare-le-donne-e-prendere-ostaggi.

Sono pro-non-imprigionare-gente-ingiustamente-senza-processo.

Sono pro-libertà e pro-pace e pro- tutte le cose che in questo conflitto non vediamo più da un pezzo.

Non importa che cosa sia, io non voglio niente di tutto ciò.

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