L’eremo dal tetto di paglia

Questo libretto davvero grazioso ha una paginetta ripiegata sotto la copertina, su cui sono stampati i testi originali di dieci tanka. Mi sono divertito a tradurli. Per mia sorpresa, ho scoperto che alcuni di essi non compaiono nella selezione che riempie il resto del libro. Chissà perché.

la mia scodella
dove mai l’ho lasciata?
che nessuno la prenda
che nessuno la prenda
povera mia scodella

malinconia
di questo vecchio corpo
a chi la dirò?
ho perduto il bastone
e ritorno nel buio

con i bambini
a lanciarci la palla
nel mio villaggio
giochi di primavera
benché il giorno si spenga

stasera insieme
domani te ne andrai
di là dal monte
da solo mi rifugio
nella vecchia capanna

conta i rimpalli
un due tre quattro cinque
sei sette otto
nove dieci e poi basta
ora inizia da capo

il mio rifugio
se mi chiedi dov’è
io ti rispondo
ad oriente del ponte
sulla sponda del cielo

dove si va?
ininterrottamente
chiede il cuculo
mentre cade la sera
sulla strada di casa

foschia serale
è lontano il villaggio
in fondo al buio
svettano ritti i cedri
sulla strada di casa

vita nel mondo
a che paragonarla?
come di voce
che risponde dal monte
l’eco spenta nel vuoto

monte Kugami
aprendomi la via
sotto i cedri
al rifugio in cui vivo
ecco faccio ritorno

Avrei senz’altro preferito che i curatori riportassero il testo originale di tutte le poesie. Pazienza. Non si tratta di un’edizione filologica, e tutto sommato è meglio così: un apparato critico avrebbe tradito lo spirito di Ryôkan, il grande stolto. Che una volta ebbe a dire:

chi ha detto che le mie poesie siano poesie?
le mie poesie non sono poesie
quando avrai capito che le mie poesie non sono poesie
potremo cominciare a discutere di poesia

Due cose mi piacciono immensamente: il fatto che Ryôkan non abbia alcuno stile, come non ha stile una pietra o un ruscello, e il fatto che non tenti di dare di sé un’immagine distaccata, da asceta imperturbabile. Ryôkan si annoia, soffre la solitudine, si lamenta perché non trova la sua scodella, beve sake, ricorda con rimpianto il fratello scomparso. Ryôkan è un uomo. Solo ogni tanto, in qualche verso isolato, raggiunge il suo ideale. E diventa nulla. Eco che riempie per poco il bianco della pagina, prima di spegnersi.

ryokan

Ryôkan, L’eremo dal tetto di paglia, Acquaviva 2005
(traduzione di Kantaro Nishida e Giuseppe D’Ambrosio Angelillo)

Consigliato a: bambini, anziani.
Non consigliato a: gente frettolosa.

2 pensieri riguardo “L’eremo dal tetto di paglia”

  1. beh, che dire? Adoro leggere la voce degli uomini, come te, mooolto più di quella dei Poeti Laureati.
    Dopo il grande piacere della lettura, e delle tua chiose mai banali, mi sono soffermata sui “consigli”. Devo darti una cattiva notizia: sconsigliandolo alla “gente frettolosa”, hai escluso all’incirca i tre quarti del globo. Forse per il rimanente quarto, c’è una possibilità di salvezza… 😉

    1. Fra la gente frettolosa mi ci metto anch’io. Non è proprio uno sconsiglio; diciamo che si fa fatica ad apprezzare il libro se lo si legge troppo di fretta. Come ho fatto io la prima volta…

      G

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