I Neanderthal vanno in paradiso?

– Prendi i Neanderthal, ad esempio. I Neanderthal vanno in paradiso?
Carla era piegata a cercare il mare in una fessura fra le assi di legno, mentre Luigi continuava a sgusciare semi di pigna e a lanciarli davanti a sé sulla stradina deserta.
– È una questione di importanza capitale. Qui si vede se una teologia regge o salta. I Neanderthal avevano una struttura sociale complessa. Sapevano parlare. Seppellivano i morti, sembra. Esiste un paradiso anche per loro?
– Secondo me, no – disse Carla.
– Perché no?
– Non avevano un’anima come la nostra. Qualcosa che potesse essere mandato in paradiso o all’inferno.
– Come fai ad esserne così sicura?
Carla si alzò e si sgranchì le gambe.
– Tu pensi troppo – disse.
– Semplicemente non capisco come la gente possa dirsi cristiana, farsi il segno della croce e andare a messa alla domenica e far battezzare i bambini senza aver prima risposto a domande come questa. Mi fa andar fuori di testa.
Lanciò un altro seme davanti a sé.
– Tu pensi troppo e parli troppo – ribadì Carla. – Ti riempi la bocca di frasi roboanti, non posso sopportarlo, mi fa andar fuori di testa, e in realtà è tutto il contrario: non esci mai dalla tua testa, rimani sempre lì, e ti lamenti perché lo spazio è stretto e c’è aria viziata.
– Sapresti darmi una risposta alla faccenda dei Neanderthal?
– Te l’ho già data.
– Bella risposta del cazzo. La solita manfrina dell’immagine e somiglianza. Noi sì, tutti gli altri no, firmato, guarda caso, homo sapiens sapiens. Cristo è venuto soltanto per noi. Fatevene una ragione, voi miliardi di altre specie presenti e passate e future, accontentatevi dell’assaggio di vita che vi è stato dato, non dura molto ma è così che funziona, cosa possiamo farci?
Carla tornò a guardare nella fessura. Si alzò il vento e portò una nuvola di sabbia al di qua della transenna.
– Non ti sembra uno scenario altamente improbabile? – chiese Luigi.
– C’è un cane – disse Carla.
– Dove?
– Sulla battigia.
Luigi aveva finito di svuotare la sua pigna. Balzò giù dal muretto e andò a guardare anche lui. Il mare era già quello elementare e silenzioso dell’inverno. Non si sentiva quasi il rumore della risacca. Il cagnolino zampettava nella schiuma bianca che evidentemente non riconosceva: scodinzolava, faceva due o tre giri su sé stesso, abbassava il naso fin quasi a toccare la sabbia e infine ritornava sui suoi passi, soltanto per riprendere il gioco dopo qualche secondo.
– Sembra solo – disse Carla.
– Ci sarà senz’altro il suo padrone da qualche parte – disse Luigi. Si rialzò, massaggiandosi la schiena. – Cerchiamo se c’è un bar aperto?
– Ho voglia di andare in spiaggia – disse Carla.
– Non dire scemenze. Come pensi di scavalcare la transenna?
– Se ci è riuscito quel cane, posso riuscirci anch’io. Ho voglia di vedere il mare.
– L’hai già visto dalla fessura.
– Dev’esserci un passaggio, da qualche parte.
– Oh, Cristo.
Carla si mise le mani nei capelli.
– Cristo? Cristo lo dico io, Luigi. Potresti tentare, per una volta, di fare almeno finta che la cosa ti interessi? Ti costa tanto essere collaborativo? Se non hai voglia di venire, resta qui. Svuota tutte le pigne del lungomare. Elabora un sistema teologico che includa i Neanderthal e i Cro-Magnon. Io vado in spiaggia.
Ma in realtà non si mosse. Puntò i piedi come una bambina.
– Hai finito? – chiese Luigi.
Carla non rispose. Per un po’, nessuno dei due disse più niente. Il silenzio era così perfetto che l’orecchio era costretto a riempirlo di suoni inventati.
Luigi chinò la testa. Si avvicinò a Carla e le accarezzò dolcemente la pancia.
– Scusami – le disse. – Andiamo a cercare se c’è un passaggio.
– Non ne ho più voglia – disse Carla a mezza voce. – Il cagnetto sarà già andato via. – Gli tolse la mano dalla pancia. – Devi capire le cose quand’è il momento, Luigi.
Entrambi contemplarono gravemente la costellazione di pinoli ai loro piedi.
– Vieni qui – gli disse infine Carla. Si sedettero sulla terra battuta sotto il pino.
– Ce la metto tutta, per capire – disse Luigi. – Ho solo paura. Paura che il nostro bambino… – ma non concluse la frase. Il vento si era fatto più freddo. Carla si rannicchiò contro il fianco di Luigi, che le mise una mano sulla spalla. Passò un vecchio in bicicletta e li fissò. Potevano sembrare la prima coppia umana, impegnata a inventarsi un paradiso.
– Se non mi avessi fermato, avrei scavalcato la transenna, a costo di ammazzarmi – disse Carla.
Sopra le assi di legno illuminate da un sole quasi orizzontale il cielo era perfetto, senza macchia.
– Il mare da qui non si vede – disse Luigi. – Potrebbe esserci qualsiasi altra cosa, là dietro.
Ma andava bene così, per il momento.

7 pensieri riguardo “I Neanderthal vanno in paradiso?”

  1. bello. Molto ben scritto.
    I dialoghi. Reali. La distrazione di lei, l’interruzione dello sparlare, di lui con la scoperta del cane…
    La tenerezza, al di sopra delle diverse sensibilità…
    Il desiderio del “non ostante”…
    Bravo!

      1. Certo, si comprende! Grazie di cuore. Soprattutto, mi fa piacere che i dialoghi suonino realistici. È uno dei miei problemi maggiori, quando scrivo in prosa.

        G

  2. Molto bello. Un piacere leggerlo e ripensarlo. Credo che un blog sia un luogo per un dialogo aperto, e non per un idiota “pollicino alzato”, che non lascia neppure molliche. 😉
    Quindi, mi consenta, ehm ehm, Esimio Guido, di raccontarle una barzelletta che mi è tornata alla mente leggendo il racconto. Lo so, lo so, siamo abituati a quelle del Cavaliere Nero nazionale, che le racconta anche quando parla seriamente nei videomessaggi.
    Ma questa barzelletta è stata inventata da Wislawa Szymborska, che credo sia un’anima amica che entrambi amiamo moltissimo. È breve, of course, è nel suo stile.
    Wislawa racconta:
    “L’anima di Einstein bussa alla porta del paradiso. Dio gli apre.
    – Ah! Sei tu… entra, siediti, ché chiacchieriamo un po’. – dice Dio.
    Einstein si siede, e dice a Dio – Finalmente posso chiedertelo. Ma come hai fatto a creare questa meraviglia infinita, me lo dici come hai fatto? –
    Dio si alza, e scrive su una lavagna un’equazione lunghissima. Einstein la osserva e commenta
    – C’è un errore. Qui. – dice puntando un dito su un minuscolo segno matematico.
    – Hai ragione! – dice Dio stupito – C’è un errore… e si ripete. Sempre.- ”

    … ma può sempre esserci l’eccezione che conferma la regola, o no? 🙂

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