Dal diario del professor Miguel Kurtz

«Questa notte, in un istante di illuminazione, ho capito di amare mia moglie. Amare forse non è la parola adatta; è meglio dire che credo di essermi preso una cotta per lei. Il che è strano, visto che siamo sposati da oltre tre decenni. Non so come spiegare altrimenti quello che provo in questi giorni. Dalla mattina alla sera non faccio altro che pensare a lei. Non riesco più a concentrarmi sul lavoro; oggi ho promosso due studenti senza neppure ascoltarli. La sera ho un reale terrore di rincasare e di incontrarla. Farfuglio davanti al piatto della cena. La mia passione, molto tipicamente, si traduce in un apparente fastidio nei suoi confronti: so che in questo modo corro il rischio di allontanarla, ma non so come controllarmi. A letto, mi rannicchio sul mio lato per evitare di sfiorarla sotto le coperte. Solo dopo ore di fantasticherie riesco a trovare un po’ di pace nel sonno.
Neppure durante gli anni di fidanzamento ho mai provato un simile trasporto per lei. Temo (mi auguro) che, attenta com’è, possa accorgersi di qualcosa, e magari, di conseguenza, incoraggiare un mio gesto; oso addirittura sperare che ricambi il mio sentimento. Travolto dall’impeto, mi concedo il lusso tardivo di essere banale: sogno di portarla all’opera, o a Parigi (dove non siamo mai stati). Ignoro il perché di questa primavera in ritardo, ma sospetto che dipenda da una volontà superiore – non divina, ma umana. È ben noto che la nostra società sta sempre più assumendo la forma un organismo in sé coerente: tutti gli esseri umani sono come tanti neuroni di un super-cervello, e l’informazione che li attraversa concorre a far emergere un’unica super-mente. Proprio in questo momento questa super-mente prova qualcosa, anche attraverso di me. Ignoro che cosa sia: potrebbe trattarsi di un desiderio, di un ricordo, addirittura di un sogno… l’immagine complessiva necessariamente mi sfugge. Io conosco solo una tessera del mosaico: il rinnovato amore per mia moglie. Un po’ mi sconforta sapere che questo sentimento non è mio, che è mosso da forze ben più elevate della mia capacità di comprensione, ma fra tanti altri mi considero fortunato: come neurone, mi sarebbe potuto capitare qualsiasi destino; mi è stato dato quello di innamorarmi come un liceale, per la prima volta, a settantaquattro anni. Voglio svolgere questo compito al meglio delle mie possibilità; sento che anche scrivere di questo amore è un po’ attutirlo, limitarlo.
Ora poserò la penna. Mia moglie si è appena coricata; non voglio che la luce della lampada la disturbi.»

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